J. Rodolfo Wilcock - I due allegri indiani
Italiano | 2025 | 306 pages | ASIN: B0FJ2KBHXH | EPUB | 1,2 MB
Nel 1973, quando apparve da Adelphi «I due allegri indiani», l’aggettivo demenziale non era ancora entrato nel lessico della critica italiana, né letteraria né cinematografica né musicale: il primo film dei Monty Python sarebbe stato distribuito solo un anno dopo, «Hellzapoppin’» e «La guerra lampo dei fratelli Marx» erano noti a una sparuta minoranza di cinefili. Per di più, Rodolfo Wilcock era un ospite assai singolare della nostra letteratura – per non dire un alieno. Cresciuto alla scuola di Borges, già autore di parecchi libri nel suo Paese, si era reinventato come scrittore in una lingua, l’italiano, che aveva a sua volta reinventato con una sfrenatezza paragonabile solo a quella che Nabokov aveva inoculato nella lingua inglese. Forse per questo ci sono voluti anni prima che Wilcock venisse riconosciuto per quello che è: un maestro del fantastico e del grottesco – e un maestro della prosa italiana. «I due allegri indiani» si potrebbe definire un «romanzo rivista», nel doppio senso della parola: 1, perché è articolato nei trenta numeri della rivista «Il Maneggio», diretta e redatta dal protagonista del romanzo stesso, che muta continuamente nome; 2, perché ogni numero di questa rivista è come un susseguirsi esilarante di sketch di avanspettacolo, il cui autore fosse però un genio della satira. Gli indiani del romanzo sono da intendere, infatti, per lo più come italiani: come scrisse Enzo Siciliano, «la babele irrefrenabile dei referti, l’insensatezza programmatica dei trenta episodi che dovrebbero comporre il romanzo, concernono il costume italiano, i vizi del vivere all’italiana». Ma attenzione: «I due allegri indiani» è soprattutto, per il lettore, una fonte continua di divertimento: si ride a ogni pagina, a ogni episodio, a ogni sberleffo, a ogni nuova invenzione verbale.